Lettera
aperta al Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro dell' economia, Sen.
Prof. Mario Monti.
Onorevole
Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro dell’economia, Sen. Prof.
Mario Monti,
come privato
cittadino, Le scrivo in merito ad alcune problematiche che il Suo esecutivo
potrebbe contribuire a risolvere.
In tempi di
crisi economico-finanziaria internazionale, il nostro Paese è chiamato a
compiere dei sacrifici in nome del risanamento del debito pubblico. È evidente
che i provvedimenti intrapresi dal Suo esecutivo siano un buon punto di
partenza per il risanamento del debito e per la ripresa della crescita, ma a
che prezzo?
Ciò che emerge
da una rapida analisi della situazione attuale è però poco confortante, in
quanto i sacrifici richiesti agli Italiani non sembrano essere equamente
distribuiti su tutti i cittadini e tutti i soggetti giuridici. Nel periodo
immediatamente successivo al Suo insediamento alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri si vociferava sulla possibile introduzione della legge “Patrimoniale”,
sognata da molti ma osteggiata dalla maggior parte del mondo politico ed
imprenditoriale. Sono pienamente consapevole dell’ insufficienza della
“Patrimoniale” per risolvere il problema del debito pubblico ma tale legge
potrebbe essere l’ esempio di una politica imparziale che in tale modo chieda
a buon diritto al Popolo Italiano di stringere ulteriormente la cinghia.
Difatti “quando si chiedono sacrifici
alla gente che lavora ci vuole (…) la capacità di colpire esosi e intollerabili
privilegi” (E. Berlinguer) e “se una
libera società non può aiutare i molti che sono poveri, non dovrebbe salvare i
pochi che sono ricchi” (J. F. Kennedy).
Come ha
recentemente affermato il presidente Napolitano, la crisi è sconvolgente ma,
dal risanamento, ne può uscire un’ Italia più giusta. “Scritta in cinese, la parola crisi è composta da due caratteri. Uno
rappresenta il pericolo, l’ altro rappresenta un’ opportunità” (J. F.
Kennedy).
“Perché una società vada bene, si muova nel
progresso, nell’ esaltazione dei valori della famiglia, dello spirito, del
bene, dell’ amicizia, perché prosperi senza contrasti tra i vari associati, per
avviarsi serena nel cammino verso un domani migliore, basta che ognuno faccia
il suo dovere. Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere , qualunque sia
il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l’ essenza della dignità umana”
(G. Falcone).
“Non pensate a cosa la vostra Nazione può
fare per voi, pensate a cosa potete fare voi per la vostra Nazione” (J. F.
Kennedy).
“I giovani (che rappresentano il futuro della
Nazione stessa) non hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno bisogno di esempi
di onestà, di coerenza e di altruismo” (S. Pertini). Dobbiamo fare in
modo che tali esempi di onestà provengano in primis dai rappresentanti delle
istituzioni e da tutto il mondo politico. Affinché ciò sia possibile, è
necessario eliminare la corruzione e le infiltrazioni mafiose nelle istituzioni
statali e nella pubblica amministrazione.
“I partiti di oggi sono soprattutto macchine
di potere e di clientele. Hanno occupato lo Stato e tutte le istituzioni a
partire dal Governo, gli enti locali, gli enti di previdenza, le aziende
pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la RAI tv,
alcuni grandi giornali” (E. Berlinguer), “da Noi deve partire l’ esempio di attaccamento agli istituti
democratici e soprattutto l’ esempio di onestà e di rettitudine. Poiché il
popolo italiano ha sete di onestà. Su questo dobbiamo essere intransigenti
prima verso Noi stessi, se vogliamo poi esserlo verso gli altri. Non
dimentichiamo, onorevoli colleghi, che la corruzione è nemica della libertà”
(S. Pertini).
Esplicativa e
dura è la denuncia dell’ ex pm G. Colombo (30 Gennaio 2012) “Rispetto a vent'anni fa non è cambiato
nulla. Anzi: a poco a poco la giustizia è stata smantellata. La politica non ha
fatto nessuna legge per rendere più difficile la corruzione, mentre quelle che
c'erano sono state rese meno severe. E così l'impunità cresce. Mani Pulite è stata un fallimento. Non ha
cambiato nulla, anzi ha determinato una reazione opposta: lo smantellamento
della giustizia. È la vittoria di un pensiero collettivo che convive con la
corruzione. Mani Pulite, sotto il profilo giudiziario, è servita a poco o
nulla. Io lo dissi sin dall'inizio, proponendo nel 1992 proprio sulle pagine de
"l'Espresso" una soluzione diversa, una sorta di condono dietro
l'ammissione di responsabilità. Mi ero reso conto che di fronte all'enormità di
quello che stava emergendo, sarebbe stato difficile o impossibile dare una
soluzione attraverso il processo. Alla fine invece le indagini hanno confermato
il senso di impunità: la maggior parte dei reati sono stati prescritti. E non
c'è stato solo quello. Penso a tutte le leggi cambiate in corso d'opera, ai
reati che sono diventati meno reati come l'abuso d'ufficio o il falso in
bilancio, alle modifiche alle regole per il processo e le rogatorie fino a
rendere appunto il senso d'impunità. Il dato positivo è nell'informazione: i
cittadini ne hanno saputo molto di più. Questa conoscenza non si è però
trasformata in una spinta a cambiare. La cultura era quella. Il modo di pensare
generale era in linea con il diffondersi così articolato e capillare della
corruzione. Anche i magistrati seguono quel pensiero collettivo, che ispira una
certa prudenza nell'andare a vedere quello che si nasconde nei cassetti del
potere. Per fortuna ci sono tante eccezioni, ma ho provato sulla mia pelle come
andare fino a fondo rende più difficile la vita. Sotto il profilo giudiziario
non è stata fatta una legge per rendere più difficile la corruzione o più
facile la scoperta della corruzione. Sotto il profilo culturale se qualcosa è
cambiato, lo è stato
in senso opposto: si è rafforzata l'idea che l'interesse privato nell'esercizio
di una pubblica funzione non è riprovevole”.
È arrivata l’
ora che i politici tornino a fare politica e la smettano di spartirsi i centri
del potere.
“A fine
mese, quando ricevo lo stipendio, faccio l’ esame di coscienza e mi chiedo se me
lo merito” (P. Borsellino). Chissà se i politici dei giorni nostri si sono
mai posti questa domanda…
Un buon punto di
partenza è individuabile nel taglio dei finanziamenti ai partiti e all’
editoria (“Report” ha svelato la
prassi dei finanziamenti statali all’editoria. Il sistema è semplice: basta
creare una cooperativa di giornalisti oppure basta far risultare di essere
organo di una forza politica, e il gioco è fatto:
Grazie alle modifiche apportate dalla
Finanziaria 2006 alle leggi 416 del 5 agosto 1981 (che disciplina le imprese
editrici di quotidiani e periodici e ha istituito il contributo statale per i
giornali di partito per salvarli dal fallimento); alla 67 del 25 febbraio 1987
(a favore dei giornali organi di movimenti politici che vantino almeno due
deputati eletti in parlamento); alla 250 del 1990 (che regola la spartizione
del finanziamento pubblico da parte dello Stato alla stampa e l'editoria dei
partiti) e alla legge 388 del 2000
a favore di "quotidiani, già organi di movimenti
politici, editi da cooperative costituite entro il 30 novembre 2001",
tutte le imprese radiotelevisive, editrici di libri, periodici e le testate
giornalistiche registrate come organo di partito edite da cooperative o
appoggiate da due parlamentari o da un eurodeputato, si spartiscono 667 milioni
di euro. Questa la ripartizione: la prima, poco meno di 28 milioni di euro è
riservata ai giornali ufficialmente registrati come organi di movimento
politico; la seconda, 31,4 milioni, agli ex organi di movimenti politici editi
da cooperative costituite entro il 30 novembre 2001; la terza di quasi 89,5
milioni di euro va ai quotidiani e periodici editi da cooperative di
giornalisti o da società la cui maggioranza del capitale sociale è detenuta da
cooperative nonché quotidiani italiani editi e diffusi all'estero e giornali in
lingua di confine; il resto, circa 12 milioni di euro vanno ai giornali
politici e delle minoranze linguistiche; alle testate edite da cooperative
editoriali; alle testate per i non vedenti; alla stampa italiana pubblicata
all’ estro, le pubblicazioni edite in Italia e diffuse prevalentemente
all'estero e ai quotidiani teletrasmessi all'estero. A ciò si aggiungono: i
contributi per il credito d'imposta per l'anno fiscale 2004 pari al 10% della
spesa complessiva per l'acquisto della carta; contributi per l'anno 2004 per le
compensazioni a Poste Italiane Spa per le tariffe speciali applicate alle
spedizioni editoriali; i finanziamenti concessi alle imprese editoriali (ex
legge 62/2001) per il credito agevolato e per il credito d'imposta in relazione
agli investimenti fissi di ristrutturazione e ammodernamento della capacità
produttiva (in corso di elaborazione); i fondi per la riqualificazione e la
mobilità dei giornalisti; i contributi alle imprese radiofoniche
"libere" e a quelle ufficialmente registrate come organi di movimento
politici erogati ai sensi dell'art. 4 della legge n. 250/1990; i rimborsi alle
imprese radiofoniche a carattere locale per le spese per abbonamento alle
agenzie di informazione ai sensi dell'art. 7 della legge n. 250/1990; i
rimborsi delle spese per abbonamento ai servizi delle agenzie di informazione
erogati ai sensi dell'art. 8 della legge n. 250/1990 e i rimborsi alle
televisioni locali delle spese per l'abbonamento ai servizi forniti dalle
agenzie di informazione erogati ai sensi dell'articolo 7 della legge n.422 del
1993. Insomma, ce n'è per tutti, ivi compresi i quotidiani di più larga
diffusione nazionale a cominciare da "La Repubblica", "Corriere
della Sera", "Il Sole-24 ore" "La Stampa" e
"Messaggero" a cui lo Stato rimborsa una parte dei costi per
l'acquisto della carta, le spese per le spedizioni e gli abbonamenti alle
agenzie di stampa, fino alle testate dei maggiori partiti politici. E tutti,
dai radicali (che per i servizi di "Radio radicale" intascano oltre
4.132 mila euro all'anno) alla Fiamma tricolore, da "Liberazione"
all'organo del PdCI "La Rinascita", da "La Padania" fino
agli ultraliberisti de "Il Foglio" di Giuliano Ferrara e
"Libero" di Vittorio Feltri che quotidianamente si scagliano contro
lo "Stato assistenzialista" ed esaltano la "libera
impresa", hanno loro bella fetta di finanziamento pubblico. Basti pensare
che "Il Foglio", ad esempio, per ottenere i suoi 3,5 milioni di euro
all'anno di contributi pubblici è stato il primo a usare il "trucco"
dei due parlamentari diventando il giornale della misconosciuta Convenzione per
la giustizia (due parlamentari, il minimo chiesto dalla legge), mentre
"Libero" addirittura è diventato l'organo del Movimento monarchico
nazionale e grazie a ciò incassa oltre 5,3 milioni di euro all'anno. Con questo
"trucco", come lo ha definito Giuliano Ferrara, anche "Il
Borghese", i cui Feltri è
stato direttore, e "Il Riformista" finanziato dall'ex braccio destro
di D'Alema, Claudio Velardi, e diretto dal rinnegato del PCI Paolo Franchi, che
si è agganciato alla rivista di Macaluso "Le ragioni del socialismo",
hanno "diritto" al loro bel contributo che ammonta rispettivamente a
2,5 e 2,179 milioni di euro a testa all'anno. La cosa scandalosa riguarda i
criteri in base ai quali questa megatorta viene spartita. La legge prevede
infatti che il contributo statale venga erogato in proporzione ai costi e alla
tiratura del giornale. Dunque più copie stampi più aumenta il contributo. C'è
un solo limite: bisogna che la testata venda almeno il 25% della tiratura. Ma
questo non è un problema perché molte testate vendono sottocosto, regalano o
addirittura scaricano alle fermate degli autobus e delle metropolitane decine
di migliaia di copie che fanno figurare come vendute).
Bisognerebbe
regolamentare gli stipendi dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni e dei
politici, in modo tale che per i primi siano proporzionati alla qualità dei
risultati conseguiti, per i secondi, invece, siano proporzionati, quantomeno,
alla quantità di ore lavorative effettivamente sostenute. Si potrebbe
continuare con la riduzione delle spese di rappresentanza dei politici, con il
dimezzamento dei parlamentari, con la limitazione, alla sola persona del
parlamentare, dei benefici derivanti dalla sua carica (sanità gratuita, auto
blu, ecc.), con l’ abolimento dei
vitalizi e con l’ approvazione di una legge che vieti, agli stessi
parlamentari, di andare in pensione dopo appena una legislatura ma che li
obblighi, invece, a rispettare le scadenze imposte, per legge, a tutti gli
italiani. Sarebbe corretto, nei confronti dei cittadini, introdurre una legge
che impedisca ai politici di ricoprire più cariche, di continuare ad esercitare
la propria attività, durante la durata della legislatura, e conseguentemente
consenta l’ attribuzione di un unico stipendio. Un buon esempio da parte del
mondo politico potrebbe derivare da una massiccia riduzione delle cosiddette
auto blu: è pur vero che l’ attuale Governo ha approvato una legge in tal senso
ma, è altrettanto vero che, a distanza di qualche giorno, il Parlamento ha
autorizzato lo stanziamento dei fondi per l’ acquisto di ulteriori 400 nuove
vetture da mettere a disposizione degli enti che ne facciano richiesta. E no,
cari signori, basta con gli sprechi, basta prendersi gioco del Popolo Italiano!
Ulteriori tagli potrebbero essere estesi alle spese di palazzo, tagliando sul
numero e sui costi del personale. Si potrebbe, poi, mirare alla riduzione degli
sprechi negli enti locali.
A questo punto,
non resta che puntare il dito sugli sprechi di denaro pubblico. Le opere
pubbliche abbandonate, in Italia, sono una storia vecchia. Da un recente
censimento, effettuato da una associazione di volontari, se ne contano ben 316
sparse su tutto il territorio nazionale. Il caso più
emblematico è sicuramente quello del ponte sullo stretto. Sono stati espropriati
i terreni, costituite società, ingaggiati i dipendenti e infine, come nella più
classica tradizione italiana, non se ne è fatto più nulla. I finanziamenti
statali, pari a 1360 milioni di euro circa, sono stati destinati ad altre opere
pubbliche. Ben venga, ma si trovi allora una soluzione ai danni già causati dal
progetto ponte. Si dismettano le società, le cooperative, si licenzino le
persone, inutilmente assunte che, ancora adesso, i contribuenti pagano di tasca
propria, e soprattutto la si smetta, una volta per tutte, di sprecare il denaro
dei cittadini! Al fine di fare l’interesse dei cittadini, il denaro
risparmiato, in seguito alla cessazione degli sprechi, dovrebbe essere
interamente reinvestito, nel miglioramento delle infrastrutture esistenti e
nella realizzazione di quelle mancanti, in maniera tale da ridurre notevolmente
i costi della mobilità per i cittadini e quelli relativi al trasporto delle
merci. In ultimo ma non certo per importanza, sarebbe necessario combattere la
corruzione che affligge le istituzioni democratiche e l’ intero apparato delle
pubbliche amministrazioni. “L'equivoco su
cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso,
quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni
mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un
uomo onesto. E no! Questo discorso non va, perché la magistratura può fare
soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono
sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica,
giudiziaria che mi consente di dire quest'uomo è mafioso. Però, siccome dalle
indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i
politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i
consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da
certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano
comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi
giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della
sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma
dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata
mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c'è il grosso
sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a
fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo
pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi
o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati” (P. Borsellino).
La lotta alla
corruzione e alle infiltrazioni mafiose, nella politica e nelle pubbliche
amministrazioni, deve, però, andare di pari passo con la lotta alla criminalità
organizzata. “L’ impegno dello Stato
nella lotta alla criminalità organizzata è emotivo, episodico, fluttuante.
Motivato solo dall’ impressione suscitata da un determinato crimine e dall’
effetto che una particolare iniziativa governativa può suscitare sull’ opinione
pubblica. La mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i
fatti umani ha un inizio e avrà una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che
si può vincere, non pretendendo l’ eroismo da inermi cittadini, ma impegnando
in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni. Se le
istituzioni continueranno nella loro politica di miopia nei confronti della
mafia, temo che la loro assoluta mancanza di prestigio, nelle terre in cui
prospera la criminalità organizzata, non farà che favorire, sempre di più, la
mafia” (G. Falcone).
“La lotta alla mafia deve essere innanzi
tutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco
profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’
indifferenza, della contiguità e quindi della complicità” (P. Borsellino).
La lotta alla
criminalità organizzata deve, inoltre, diventare uno dei temi centrali del
programma governativo dell’ esecutivo di
un Paese che pretende di essere definito democratico. Strumento di questa lotta
devono essere le Forze dell’ Ordine e la Magistratura, entrambe private, negli
ultimi anni, di gran parte del proprio potere da una politica sempre più
corrotta e meno efficiente. Le prime ,
indebolite dal taglio dei fondi, ad esse destinati, che ha impedito loro di
svolgere in maniera efficace il proprio compito; la seconda, invece, indebolita
attraverso la modifica dei codici legislativi , strumento essenziale per il
lavoro dei magistrati. “Temo che la Magistratura
torni alla vecchia routine: i mafiosi che fanno il loro mestiere da un lato, i
magistrati che fanno, più o meno bene, il loro dall’ altro e alla resa dei
conti, palpabile, l’inefficienza dello Stato”. (G. Falcone) Queste erano le
paure di un grande uomo che, a pochi anni dalla sua morte, si sono dimostrate
fondate. “Ci sono leggi che sono contro
le regole dello stato di diritto: bisogna riportare le cose alla normalità”
(G. Stracquadanio).
In Italia il
meccanismo democratico si è inceppato sessant’ anni fa e negli ultimi vent’
anni è addirittura peggiorato. Per questo motivo ritengo indispensabile la
contemporanea attuazione di due riforme atte a rendere giusta la Giustizia: la
riforma dei codici legislativi e quella della Magistratura. Una “Giustizia
giusta” è innanzitutto veloce. Per raggiungere questo obiettivo si dovrebbe
procedere allo snellimento dei codici, in modo da avere meno leggi, che siano
però più efficienti, e molti meno cavilli, che rappresentano uno dei più grandi
handicap della nostra legislazione. Si dovrebbero, infine, inasprire gran parte
delle pene e, soprattutto, si dovrebbe garantirne la certezza. “Non è l'intensione della pena che fa il
maggior effetto sull'animo umano, ma l'estensione di essa; perché la nostra
sensibilità è più facilmente e stabilmente mossa da minime ma replicate
impressioni che dà un forte ma passeggero movimento” (C. Beccaria ). Per
quanto riguarda la Magistratura, bisognerebbe implementarne l’ organico,
sancirne la reale autonomia dalla politica, impedendo, contemporaneamente, agli
stessi magistrati di influenzare negativamente il rapporto tra politici e
cittadini. Ritengo, inoltre, giusta l’ introduzione del principio di
responsabilità civile dei magistrati, dato che così, attraverso un referendum,
si è espresso il Popolo e soprattutto per cancellare definitivamente, dall’
immaginario collettivo, l’ impunibilità dei magistrati, proprio come ritengo
corretta, nei confronti dei cittadini, l’ abolizione dell’ articolo 68 della Costituzione.
Un altro punto
fondamentale per ristabilire la legalità, in un Paese che già da molti anni
sembra aver dimenticato l’ esistenza dei regolamenti e per risanare i conti
dello Stato, dando un po’ di respiro agli onesti contribuenti, ultimamente
vessati da una tassazione non proprio equa, è senza ombra di dubbio la lotta
all’ evasione e all’ elusione, fiscale. La prima azione, da parte delle
istituzioni, dovrebbe essere indirizzata verso lo sviluppo di politiche di
collaborazione tra l’ Agenzia delle Entrate, la Guardia di Finanza, il P.R.A. e
gli uffici del Catasto attraverso i cosiddetti controlli incrociati. Le stesse
istituzioni dovrebbero, inoltre, favorire la cooperazione tra le autorità
italiane e i Governi dei “paradisi fiscali”, partendo proprio dalla vicina
Svizzera, allo scopo di rintracciare e, infine, tassare gli svariati miliardi
di euro, ancora, illegalmente evasi. Le
imprese multinazionali hanno messo a punto dei sistemi sempre più sofisticati
per eludere ed evadere le tasse dovute. Le stime parlano di centinaia di
miliardi di dollari persi ogni anno a causa di meccanismi quali l’abuso del
transfer pricing. Gonfiando o diminuendo ad arte i prezzi, è infatti possibile
per un’impresa multinazionale “aggiustare” i propri bilanci in modo da fare
risultare in perdita le filiali situate nei Paesi a elevata tassazione, mentre
i profitti saranno concentrati nei territori a bassa tassazione e nei paradisi
fiscali. Negli ultimi anni si sono registrati casi di succhi di frutta venduti
a oltre 1.000 dollari al litro, o di spazzolini da denti valutati 5mila dollari
al pezzo. Questa tecnica che consiste nell’aumentare,o diminuire, in maniera
fraudolenta il prezzo di trasferimento funziona particolarmente bene per quanto
riguarda loghi, marchi e altri prodotti intangibili. È sufficiente registrare
il proprio marchio in un paradiso fiscale. Tutti i beni prodotti dalla data
impresa dovranno allora pagare i diritti,il copyright, alla filiale che detiene
questo marchio, garantendo un flusso di denaro e di profitti dai Paesi in cui
viene realizzata la produzione verso i paradisi fiscali. Questo accade perché,
tranne alcune eccezioni, le compagnie devono riportare al pubblico i propri
dati economici e finanziari unicamente in forma aggregata, e non suddivisi per
i singoli Paesi in cui operano. In questo modo non è possibile sapere se
un’impresa paga le tasse dovute in ogni Paese in cui opera o se fa uso di
paradisi fiscali per eludere il fisco. Negli ultimi anni il Tax Justice
Network, la rete di organizzazioni della società civile che lotta contro i
paradisi fiscali, ha promosso una campagna internazionale che chiede una
rendicontazione Paese per Paese dei dati economici e finanziari delle imprese
multinazionali. Si tratta di una richiesta elementare, senza praticamente
nessun costo aggiuntivo per le stesse imprese. Perché allora non rendere
obbligatorio questo iter anche in Italia?
Contemporaneamente
bisognerebbe inasprire le pene per i reati di evasione ed elusione fiscale e
reintrodurre il reato di falso in bilancio. Al fine di impedire i soliti
favoritismi all’ italiana sarebbe corretto, nei confronti degli onesti
cittadini-contribuenti, sancire la fine degli infiniti favoritismi con l’
eliminazione degli sgravi fiscali relativi ai finanziamenti privati e ai
partiti politici. Si potrebbe inoltre infliggere un duro colpo ai “furbetti” e
contemporaneamente alleggerire il compito della Guardia di Finanza, rispetto ai
controlli “porta a porta”, rendendo possibile la detrazione di una parte dell’
I.V.A. dalle tasse, in modo che la richiesta di scontrini e ricevute fiscali,
in caso di mancata emissione, diventi un’ abitudine. Al contempo bisognerebbe
rivedere la politica di riscossione dei tributi affidata alle due maggiori
agenzie tributarie: Equitalia e Serit con la loro politica di riscossione
portano al fallimento le aziende e al default le famiglie, recando allo Stato
un danno maggiore rispetto al mancato recupero dei crediti. Alla luce del
diffuso malcontento dei cittadini, continuamente colpiti dai comportamenti
illegittimi di Equitalia e Serit, si ritiene opportuno optare per
l’eliminazione dell’attribuzione a Equitalia s.p.a. dell’attività di
riscossione riconosciutale dall’art. 3 del decreto legge n. 203 del 30
settembre 2005, convertito con modificazioni nella legge n. 248 del 2 dicembre
2005 e per la conseguente attribuzione della fase di formazione del ruolo ai
singoli enti impositori e di quella della materiale riscossione all’Agenzia
delle entrate con divieto di affidamento della stessa ad altri soggetti di
qualsiasi natura. È infatti giusto
e doveroso combattere l'evasione e l'elusione fiscali, come è altresì
fondamentale rendere efficaci le attività di riscossione, ma risulta
altrettanto indispensabile realizzare un sistema nazionale di riscossione che
non vessi e danneggi indebitamente e irragionevolmente il
cittadino-contribuente-debitore che, soprattutto in questo complesso momento di
crisi economica mondiale, deve potersi tutelare e difendere con pari diritti
rispetto al responsabile della riscossione. Infine, con il pretesto della lotta
all’ evasione/eluzione fiscale, si potrebbe infliggere un durissimo colpo all’
economia della criminalità organizzata. Basterebbe legalizzare due tra le più
cospicue fonti di reddito della malavita: la droga e la prostituzione.
Sono, entrambi,
degli argomenti che dividono il pensiero del Paese, ma, con la legalizzazione
delle droghe leggere si otterrebbero notevoli vantaggi: come già detto in
precedenza, si toglierebbe alla criminalità organizzata una buona fetta di
profitto a tutto vantaggio delle casse statali; si creerebbero molti posti di
lavoro e in ultimo si risparmierebbe sulla repressione dei crimini inerenti al
consumo di droghe leggere, e al possesso di modiche quantità delle stesse, che
oggi appare decisamente eccessiva, rispetto alla diffusione del fenomeno su
tutto il territorio nazionale. Per quanto riguarda la prostituzione, la
regolamentazione del “sistema”, sottoponendolo a regime fiscale e controllo
medico, magari organizzandolo in cooperative di lavoratori e lavoratrici, porterebbe
da un lato la tassazione del ”settore” e all’ ulteriore riduzione degli
introiti per la criminalità organizzata, dall’ altro aiuterebbe a “ripulire” le
strade e a dare una parvenza di legalità ad una società, ormai da troppo tempo,
in crisi di valori.
La tassazione
attuale che grava sul lavoro scoraggia le assunzioni e gli investimenti.
Andrebbe fissato un percorso di abbattimento del cuneo fiscale, destinando a
questo obiettivo tutte le somme recuperate dalla lotta all’evasione. Due
dovrebbero essere gli obiettivi della riforma del mercato del lavoro: ridurre
la precarietà del lavoro e rimuovere gli ostacoli alla crescita della
produttività. In un Paese ad alta varianza come l’Italia si dovrebbe riformare
il sistema della contrattazione e far sì che le imprese possano legare salario
e produttività, salario e costo della vita (nel Sud è diverso che nel Nord).
Serve un ribaltamento: massimo decentramento del livello della contrattazione e
dimagrimento di quella nazionale. Questo potrebbe favorire un maggior stimolo
alla produttività. Vi è stata un’eccessiva moltiplicazione delle forme contrattuali
per i neo-assunti, molte di queste forme contrattuali sono inutili e nocive. Va
fatta una drastica semplificazione e costruito un sentiero di tutele crescenti.
E ’ giusto che ci sia un periodo di prova durante il quale sia molto semplice
interrompere il contratto tra impresa e dipendente. Con il passare del tempo
vanno introdotte forme di tutela. L’eccesso di precarietà riduce la
produttività dei lavoratori, quindi una stabilizzazione progressiva ha effetti
benefici. Va incoraggiato il lavoro a tempo indeterminato, con una tassazione
più favorevole rispetto ai contratti a termine. Dopo 3 o 5 anni va introdotto
un sistema di indennizzo in caso di licenziamento che sostituisca l’art. 18.
Per completare il quadro serve un sistema universale che assicuri un reddito a
tutti i lavoratori (anche ai neoassunti) che perdono il lavoro. Va abolita la
Cassa integrazione e le altre forme di integrazione del salario oggi esistenti
e creato un unico sistema. Servono controlli severi e l’obbligo da parte del
disoccupato di accettare qualunque lavoro, pena la perdita del sussidio. Va
costruito un sistema di agenzie del lavoro che favoriscano l’incontro tra posti
di lavoro e disoccupati.
Dall’ abolizione
della scala mobile avvenuta il 21 luglio 1992 e dagli accordi di concertazione
del 23 luglio 1993 ad oggi c’è stata una inesorabile progressiva svalutazione
dei salari costretti quasi alla immobilità mentre tutto il resto è andato avanti
secondo le leggi del mercato. Salari e pensioni basse hanno contribuito a non
fare impennare di molto i prezzi data la minore possibilità di consumi di
lavoratori e pensionati come dire che la povertà del popolo è servita a tenere in
equilibrio il sistema. Catastrofica è la situazione dei redditi fissi. Il 17%
dei pensionati di vecchiaia riceve un assegno inferiore a 500 euro mensili. Il
6% dei lavoratori riceve un “salario” inferiore a 500 euro al mese ed il 25%
sotto i 1000 euro. Questa situazione angoscia sopratutto i pensionati che non
solo non hanno mezzi di difesa, ma sono stati criminalizzati dal regime che li
vuole vampiri delle risorse che spetterebbero ai giovani. La contrattazione in
deroga abbassa i minimi salariali ed i contratti in regime di precariato
addirittura li dimezzano. Insomma la situazione si sta facendo assai critica
per la sopravvivenza. Il liberismo ha imposto regole che vanno ben oltre la
legge bronzea dei salari di Ricardo. Non solo il salario non va oltre la
sussistenza dei prestatori d’opera ma è spesso largamente inferiore. Si
sopravvive con l’aiuto delle famiglie fino a quando questo sarà possibile.
Tutti i milioni di giovani biagizzati sopravvivono con l’aiuto dei genitori e
spesso anche dei nonni. Nessuno è in grado di reggersi da solo e non basta
neppure l’aiuto dello stipendio della compagna, se precaria. In queste
condizioni diventa indispensabile il ripristino della scala mobile, di un
meccanismo di indicizzazione dei salari e delle pensioni. La scala mobile può
essere congegnata per evitare taluni effetti negativi che le sono stati
attribuiti. Non è vero che favorisce l’inflazione se scatta soltanto un paio di
volte l’anno e sempre dopo la registrazione dell’andamento dei prezzi. Può
addirittura essere uno strumento di contenimento di questi, perché le aziende e
lo Stato aumentando prezzi e tariffe dovranno tenere conto delle ripercussioni.
L’istituzione del Salario Minimo Garantito si rende indispensabile per tutta
l’area del precariato e del lavoro immigrato, ma farà bene a tutti bloccare la
tendenza allo scivolamento verso il basso dei salari. Sarà un fatto di civiltà
e di rispetto della dignità. Eviterà l’imbarbarimento di una società che si
spacca in due, da un lato i manager ed i politici che godono di retribuzioni scandalose
e dall’altro i cittadini “normali” che la morale liberista vorrebbe fare
sentire falliti. Non è un fallito un giovane che dopo essersi laureato magari
con tanto entusiasmo è costretto a servire in un ufficio per quattrocento euro
al mese ma solo una vittima di un sistema che deve essere cambiato subito prima
che sia troppo tardi. Inoltre l’ imposizione di un tetto massimo alle pensioni
(5000€) e il divieto di cumulo di più pensioni, metterebbe l’Inps in condizione
di poter garantire una pensione dignitosa a tutti i cittadini piuttosto che,
come accade ultimamente, costringere chi ha lavorato per una vita o gli anziani
a vivere sotto la soglia della povertà.
Il quarto potere
costituzionale deve essere concepito sulla finalità di restituire allo Stato la
funzione monetaria ed al popolo la proprietà della moneta. Questa riforma è
diventata ormai indispensabile per uscire dall’asservimento al “signoraggio
bancario” e dare inizio ad un regime di democrazia integrale in cui i popoli
non abbiano solo la sovranità politica, ma anche quella monetaria, per vivere
tempi nuovi a dimensione umana, liberi dall’angoscia dell’insolvenza
ineluttabile dei debiti non dovuti alla grande usura.
Negli ultimi
anni, tutti i Governi in carica, in risposta alle richieste di sviluppo di un
paese abbandonato a se stesso, si sono sempre difesi dietro alla mancanza di
fondi e alle difficoltà nel reperirli. Bene, prendendo per buone queste scuse,
messe in piedi dai politicanti che negli ultimi decenni hanno portato il paese
alla rovina, dovremmo allora poter festeggiare in seguito all’ individuazione
da parte di un comune cittadino, che ha a cuore il proprio futuro così come
quello della propria Nazione, di svariate “fonti” cui attingere i fondi per lo
sviluppo e per un’ auspicata diminuzione del peso fiscale.
Tanto per non
dimenticarci del concetto di Giustizia Sociale preferiremmo (noi, contribuenti
onesti) che si iniziasse con il “colpire” i beneficiari dello”scudo fiscale”;
la tassazione del 5% applicata ai capitali rientrati appare come uno schiaffo
morale a quei cittadini che hanno sempre rispettato le leggi, sarebbe, pertanto,
opportuno elevare l’ aliquota al 23%.
“L’ Italia, a mio avviso, deve essere nel
mondo portatrice di pace. Si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di
morte, si colmino i granai di vita per milioni di creature umane che lottano
contro la fame. Il nostro Popolo si è sempre sentito fratello di tutti i Popoli
della Terra. Questa è la strada. La strada della pace che Noi dobbiamo seguire”.
(S. Pertini) Non ha senso, almeno per noi Italiani, pretendere di portare la
Democrazia laddove non c’ è, non ha senso perché non riusciamo neppure a
gestire democraticamente il Nostro Paese. Cosa pretendiamo di poter insegnare a
questi Popoli? Vogliamo forse spiegar loro come legittimare gli Stati esteri a
dettar legge in casa loro? Se lo scopo delle missioni militari è questo, allora
sull’ argomento siamo ferratissimi, basta dare uno sguardo ai recenti casi
riguardanti il tentativo, tra l’ altro quasi del tutto riuscito, di dettare le
linee guida al Governo del Nostro Pese da parte di FMI, BCE, UE, Germania,
Francia, Vaticano, ecc… A tal proposito
vorrei ricordare ai rappresentanti dello Stato che “il rispetto delle alleanze non significa che l’ Italia debba tenere il
capo chino” (E. Berlinguer). Appena qualche giorno fa, un deputato, stranamente,
intervenuto ad una trasmissione televisiva, ha affermato che in realtà i famosi
F-35 non ci servono a nulla; spiegava, in pratica, che l’ acquisto di questi
ultra-costosi, ultra-inutili e mal funzionanti jet serve solo a tenerci stretti
gli USA, così da assicurarci il loro appoggio militare in caso di guerra. Ma
chi ha detto che il Popolo Italiano abbia, anche lontanamente, voglia di
pensare alla possibilità di una guerra? Ritengo che sarebbe opportuno
restituire al mittente gli aerei-giocattolo e che sarebbe giusto, in nome dei
sacrifici che vengono chiesti ai contribuenti, tagliare i miliardari
finanziamenti destinati alle spese militari di un Paese, come il Nostro, che è,
quasi, sempre rimasto estraneo alle guerre.
Facciamo in modo
che l’ attenzione delle istituzioni si concentri invece sulla valorizzazione
del territorio al fine di migliorare l’ offerta turistica, salvare dalla crisi
il settore primario e soprattutto salvare dagli scempi il BelPaese. “La Nazione che distrugge il suo suolo,
distrugge se stessa” (F. D. Roosevelt). L’ aumento delle royalties sugli
idrocarburi (nel 2010 le multinazionali che sfruttano il sottosuolo italiano
hanno versato allo Stato imposte per 202 milioni di euro a fronte di una
produzione di 4,5 miliardi di euro) permetterebbe la realizzazione di progetti
volti alla produzione di energia pulita, attraverso l’ uso di impianti
fotovoltaici. Per troppo tempo il territorio italiano è stato sfruttato, per
troppo tempo le istituzioni hanno
permesso cose ignobili. Si investa al fine di tutelare il territorio, si
finanzi il riassesto idrogeologico dell’ intero Paese. Si smetta di costruire
dove è economicamente più conveniente; si lavori, invece, per il recupero di
spazi già ampiamente sfruttati. Si combattano le ecomafie e la corruzione che
regna sovrana nel settore della gestione dei rifiuti. Si imponga la raccolta
differenziata al fine di favorire il processo di riciclo. Si implementino i
finanziamenti per la salvaguardia del patrimonio artistico, si affidi la gestione, dei monumenti, dei musei e dei
parchi ai privati, mantenendo il ruolo di controllo da parte delle
soprintendenze ai beni culturali. Si aiuti il settore primario, a rialzare la
testa, concedendo credito alle aziende, riducendo la concorrenza sleale dei
paesi esteri, aumentando i controlli sulla qualità e sulla reale provenienza
dei beni importati, si facciano rispettare le normative vigenti, si impedisca
alla UE di varare leggi che autorizzino le multinazionali a immettere nei
nostri mercati prodotti di scarsa qualità (vedi i succhi senza frutta e il vino
senza uva), si impedisca all’ UE di obbligare i produttori a distruggere gli
eccessi, secondo le normative europee, di produzione e si applichi invece una
politica che favorisca, almeno entro i nostri confini il consumo di prodotti
italiani.
Non c'è un solo
ateneo italiano tra i top 100 mondiali. Mancano quindi le “fabbriche di
eccellenza”. Le risorse che sono oggi disperse devono essere invece concentrate
sulle università migliori, nelle quali si possa misurare obbiettivamente la
qualità della ricerca e della didattica, cambiando radicalmente la governance
per assicurarsi che il denaro pubblico sia ben speso. L'Italia è l'unico paese
al mondo dove i rettori sono nominati dai docenti che essi devono selezionare.
Una riforma universitaria potrebbe, quindi, sortire il conseguimento di importanti
risultati: riduzione degli sprechi, miglioramento dell’ offerta formativa e
rilancio della ricerca. Una buona riforma del sistema universitario dovrebbe
essere “giusta”. Dovrebbe, per prima cosa, affermare la meritocrazia come
principio portante dell’ intero sistema. Come prima conseguenza si dovrebbero
eliminare dall’ intero sistema, le “baronie”. Il passo successivo sarebbe
quello di apportare un drastico taglio agli sprechi, procedendo quindi all’
eliminazione di una moltitudine di corsi di studio troppo simili e talvolta
troppo inutili. Una volta selezionati i corsi da portare avanti, bisognerebbe
verificarne l’ effettivo
funzionamento e la validità in modo tale da poter apportare le eventuali
modifiche. Bisognerebbe, poi, dare delle, improrogabili, scadenze agli studenti
in modo da evitare gli sprechi di denaro e il sovraffollamento degli atenei
pubblici. Un ulteriore punto del taglio alla spesa è rappresentato dal taglio
dei finanziamenti alle università private. Sarebbe, infine, opportuno reinvestire
il flusso di denaro risparmiato nella ricerca e nel rispetto dell’ art. 45
cost. al fine di non lasciar morire due di quei settori che hanno reso famoso
il nome dell’ Italia nel mondo.
È inconcepibile
che le strutture sanitarie, pubbliche, siano state trasformate in vere e
proprie aziende (ASP). Poiché la salute non è un bene ma, bensì, un diritto,
ritengo sia necessario tornare alla definizione “ospedali” e soprattutto alla
gestione di strutture sanitarie e non di aziende che “vendono” la salute. Il
mio suggerimento è quello di una riforma al fine di tagliare i miliardari
sprechi e soprattutto tagliare i finanziamenti alle strutture private.
Bisognerebbe poi aumentare l’ organico, stabilire un metodo di attribuzione
degli incarichi basato sui meriti personali, aumentare i posti letto e
dedicarsi al recupero delle strutture sanitarie già esistenti.
Un altro punto
chiave per la diminuzione delle imposte che gravano sui cittadini è
rappresentato dalla Chiesa Cattolica; di seguito vengono elencate le
motivazioni a sostegno di questa tesi:
Ogni cittadino
che presenta la dichiarazione dei redditi può scegliere la destinazione dell’8
per mille del gettito Irpef tra sette opzioni: Stato, Chiesa cattolica, Unione
Chiese cristiane avventiste del 7° giorno, Assemblee di Dio in Italia, Unione
delle Chiese Metodiste e Valdesi, Chiesa Evangelica Luterana in Italia, Unione
Comunità Ebraiche Italiane.
Come ben
sappiamo, nessuno in realtà destina il proprio gettito: il meccanismo
assomiglia di più ad un gigantesco sondaggio d’opinione, al termine del quale
si “contano” le scelte, si calcolano le percentuali ottenute da ogni soggetto
e, in base a queste percentuali, vengono poi ripartiti i fondi. Come se non
bastasse, la mancata formulazione di un’opzione non viene presa in
considerazione: l’intero gettito viene ripartito in base alle sole scelte
espresse. Alcune confessioni, più coerentemente, lasciano allo Stato le quote
non attribuite, limitandosi a prelevare solo quelli relativi ad opzioni
esplicite a loro favore, cosa che NON fa la Chiesa cattolica, ottenendo un
finanziamento quasi triplo rispetto ai consensi espliciti ottenuti a suo
favore.
Il Ministero
delle Finanze, già restìo a fornire statistiche in merito (comunica i dati alle
sole confessioni religiose, che ne danno notizia con estrema riluttanza), è
peraltro estremamente lento nel diffondere i dati. Le ultime comunicazioni
ufficiali e definitive si riferiscono incredibilmente alle dichiarazioni dei
redditi del 2004 (redditi 2003).
Questa la
distribuzione:
89,81 % Chiesa Cattolica, 7,74 % Stato , 1,43 % Valdesi, 0,37 % Comunità
Ebraiche, 0,20 % Luterani, 0,19 % Assemblee
di Dio in Italia.
Si noti che, in
tale occasione, su oltre trenta milioni di contribuenti solamente il 39,52% ha
espresso un’opzione: solo il 35,24% della popolazione, quindi, ha espresso una
scelta a favore della Chiesa cattolica. Per dare un’idea dell’enormità della
cifra corrisposta grazie a questo meccanismo, la Conferenza Episcopale ha
disposto nel 2007 di contributi per 991 milioni di Euro.
Quando nel 1996
il ministro Livia Turco propose di destinare i fondi di competenza statale
all’infanzia svantaggiata, il “cassiere” della Conferenza Episcopale Italiana
Nicora reagì duramente, sostenendo che «lo Stato non deve fare concorrenza scorretta
nei confronti della Chiesa»; Questo comportamento, da parte dei rappresentanti
del Vaticano, infrange l’ art. 7 della Costituzione.
L'Otto per Mille
non è la più importante voce in "uscita" dallo Stato in direzione
della Chiesa cattolica: l'insegnamento della religione cattolica costa infatti
ben un miliardo e mezzo, destinato a finanziare il catechismo impartito da
docenti scelti dai vescovi ma pagati dallo stato. L'UAAR stima in oltre sei miliardi la cifra di
cui gode la Chiesa cattolica, nelle sue varie articolazioni, a danno delle
casse pubbliche.
Nell’ambito del
Decreto Fiscale collegato alla Legge Finanziaria 2006, il Parlamento ha
introdotto l’esenzione ICI (Imposta Comunale sugli Immobili) per gli immobili
adibiti a scopi commerciali per la Chiesa (ulteriormente estesa alle
associazioni no-profit). Il patrimonio immobiliare della Chiesa cattolica è
incalcolabile (si parla di un 20-25% dell'intero territorio nazionale), e
incalcolabile è quanto di tale patrimonio sia effettivamente utilizzato per
fini spirituali, quanto per fini commerciali e quanto per fini commerciali
“occultati” dietro i fini spirituali. Il d.l. 223 del 4 luglio 2006 ha successivamente
eliminato tale esenzione. La sua formulazione («Attività di natura
esclusivamente commerciale»), tuttavia, di fatto vanifica il provvedimento e
mantiene in vigore tale privilegio: è infatti sufficiente che all’interno
dell’immobile destinato ad attività commerciale si mantenga una piccola
struttura destinata ad attività religiose.
Nell'agosto 2007
la Commissione Europea ha chiesto al governo italiano informazioni
supplementari su tali vantaggi fiscali. Non risulta che né il governo Prodi, né
il governo Berlusconi che subentrò nel 2008 le abbiano mai risposto.
Di seguito verranno elencati i più
eclatanti motivi per cui questi favoritismi nei confronti di quello che è, a
tutti gli effetti, uno stato estero dovrebbero essere cessati immediatamente:
-Perché lo Stato, erogando questi
finanziamenti, è costretto a cercarsi altre entrate con nuove
forme di tassazione gravanti
sulla popolazione.
-Perché il meccanismo (8 x 1000) doveva
essere basato sulla volontarietà, ma la ripartizione delle scelte inespresse
vìola, di fatto, questo principio.
-Perché secondo stime dell’ANCI, il
provvedimento (mancato versamento delle imposte comunali sugli immobili)
avrebbe comportato minori entrate per i Comuni nell’ordine di 700 milioni di Euro,
a danno dei servizi sociali,delle stesse casse dei comuni e di conseguenza dei
cittadini Italiani.
-Perché nel caso della Chiesa cattolica,
gran parte di questi contributi non ha alcuna utilità sociale.
Inoltre da un governo
tecnico di “non eletti” ci si aspetta un certo grado di libertà, di
indipendenza di pensiero e di distacco dai partiti politici: è per questo
motivo che il suo Governo potrebbe riconsegnare al Paese un’ istituzione (la
Rai, non politica, ma oggi occupata dai partiti) liberandola dai giochi di
potere e restituendo agli italiani un’ emittente che fornisca realmente un
servizio pubblico.
Esiste un senso
della giustizia, definito talvolta naturale in quanto ritenuto innato, che
impegna ogni singolo individuo a tenere nei confronti dei propri simili o
gruppi, in situazioni ordinarie o straordinarie, criteri di giudizio e
conseguenti comportamenti, rispondenti a giustizia nel senso di onestà,
correttezza e non levità del prossimo. È in questo senso che la giustizia
diventa una virtù morale, quindi privata e non codificata e istituzionalizzata,
che è però di enorme portata assiologica, in base alla quale si osservano
regole comportamentali che riguardano sé e gli altri nei doveri e nelle
aspettative. La giustizia è la costante e perpetua volontà, tradotta in azione,
di riconoscere a ciascuno ciò che gli è dovuto; questo è l'ufficio,
deontologico e inviolabile, che il magistrato preposto deve porre in atto nei
luoghi deputati a rendere giustizia: i tribunali. La giustizia, che è messa in
atto sempre come volontà del popolo, è anche azione repressiva, potere
legittimo di tutelare i diritti di tutti, quindi rendere a ognuno giustizia,
nelle circostanze riconosciute, ascoltando richieste per essa e in nome di essa
accordando ciò che è giusto quando è dovuto e a chi è dovuto. La negazione
della giustizia, ovvero la mancata applicazione dei criteri, è l'ingiustizia,
con diversi gradi di gravità della sua realizzazione a danno di una o più
persone…
È proprio questo
senso di mancata giustizia perpetrata dai governi degli ultimi trent’ anni che mi ha spinto a mettere per iscritto i
miei pensieri, i miei consigli, le mie speranze.
Le speranze di
un giovane che ha ancora fiducia nel futuro.
Gaetano Trapani