lunedì 27 febbraio 2012

 Lettera aperta al Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro dell' economia, Sen. Prof. Mario Monti.

Onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro dell’economia, Sen. Prof. Mario Monti,
come privato cittadino, Le scrivo in merito ad alcune problematiche che il Suo esecutivo potrebbe contribuire a risolvere. 

In tempi di crisi economico-finanziaria internazionale, il nostro Paese è chiamato a compiere dei sacrifici in nome del risanamento del debito pubblico. È evidente che i provvedimenti intrapresi dal Suo esecutivo siano un buon punto di partenza per il risanamento del debito e per la ripresa della crescita, ma a che prezzo?
Ciò che emerge da una rapida analisi della situazione attuale è però poco confortante, in quanto i sacrifici richiesti agli Italiani non sembrano essere equamente distribuiti su tutti i cittadini e tutti i soggetti giuridici. Nel periodo immediatamente successivo al Suo insediamento alla Presidenza del Consiglio dei Ministri si vociferava sulla possibile introduzione della legge “Patrimoniale”, sognata da molti ma osteggiata dalla maggior parte del mondo politico ed imprenditoriale. Sono pienamente consapevole dell’ insufficienza della “Patrimoniale” per risolvere il problema del debito pubblico ma tale legge potrebbe essere l’ esempio di una politica imparziale che in tale modo chieda a buon diritto al Popolo Italiano di stringere ulteriormente la cinghia. Difatti “quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole (…) la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi” (E. Berlinguer) e “se una libera società non può aiutare i molti che sono poveri, non dovrebbe salvare i pochi che sono ricchi” (J. F. Kennedy).
Come ha recentemente affermato il presidente Napolitano, la crisi è sconvolgente ma, dal risanamento, ne può uscire un’ Italia più giusta. “Scritta in cinese, la parola crisi è composta da due caratteri. Uno rappresenta il pericolo, l’ altro rappresenta un’ opportunità” (J. F. Kennedy).
Perché una società vada bene, si muova nel progresso, nell’ esaltazione dei valori della famiglia, dello spirito, del bene, dell’ amicizia, perché prosperi senza contrasti tra i vari associati, per avviarsi serena nel cammino verso un domani migliore, basta che ognuno faccia il suo dovere. Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere , qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è  in ciò che sta l’ essenza della dignità umana” (G. Falcone).
Non pensate a cosa la vostra Nazione può fare per voi, pensate a cosa potete fare voi per la vostra Nazione” (J. F. Kennedy).
I giovani (che rappresentano il futuro della Nazione stessa) non hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno bisogno di esempi di onestà, di coerenza e di altruismo” (S. Pertini). Dobbiamo fare in modo che tali esempi di onestà provengano in primis dai rappresentanti delle istituzioni e da tutto il mondo politico. Affinché ciò sia possibile, è necessario eliminare la corruzione e le infiltrazioni mafiose nelle istituzioni statali e nella pubblica amministrazione.

I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientele. Hanno occupato lo Stato e tutte le istituzioni a partire dal Governo, gli enti locali, gli enti di previdenza, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la RAI tv, alcuni grandi giornali” (E. Berlinguer), “da Noi deve partire l’ esempio di attaccamento agli istituti democratici e soprattutto l’ esempio di onestà e di rettitudine. Poiché il popolo italiano ha sete di onestà. Su questo dobbiamo essere intransigenti prima verso Noi stessi, se vogliamo poi esserlo verso gli altri. Non dimentichiamo, onorevoli colleghi, che la corruzione è nemica della libertà” (S. Pertini).

Esplicativa e dura è la denuncia dell’ ex pm G. Colombo (30 Gennaio 2012) “Rispetto a vent'anni fa non è cambiato nulla. Anzi: a poco a poco la giustizia è stata smantellata. La politica non ha fatto nessuna legge per rendere più difficile la corruzione, mentre quelle che c'erano sono state rese meno severe. E così l'impunità cresce.  Mani Pulite è stata un fallimento. Non ha cambiato nulla, anzi ha determinato una reazione opposta: lo smantellamento della giustizia. È la vittoria di un pensiero collettivo che convive con la corruzione. Mani Pulite, sotto il profilo giudiziario, è servita a poco o nulla. Io lo dissi sin dall'inizio, proponendo nel 1992 proprio sulle pagine de "l'Espresso" una soluzione diversa, una sorta di condono dietro l'ammissione di responsabilità. Mi ero reso conto che di fronte all'enormità di quello che stava emergendo, sarebbe stato difficile o impossibile dare una soluzione attraverso il processo. Alla fine invece le indagini hanno confermato il senso di impunità: la maggior parte dei reati sono stati prescritti. E non c'è stato solo quello. Penso a tutte le leggi cambiate in corso d'opera, ai reati che sono diventati meno reati come l'abuso d'ufficio o il falso in bilancio, alle modifiche alle regole per il processo e le rogatorie fino a rendere appunto il senso d'impunità. Il dato positivo è nell'informazione: i cittadini ne hanno saputo molto di più. Questa conoscenza non si è però trasformata in una spinta a cambiare. La cultura era quella. Il modo di pensare generale era in linea con il diffondersi così articolato e capillare della corruzione. Anche i magistrati seguono quel pensiero collettivo, che ispira una certa prudenza nell'andare a vedere quello che si nasconde nei cassetti del potere. Per fortuna ci sono tante eccezioni, ma ho provato sulla mia pelle come andare fino a fondo rende più difficile la vita. Sotto il profilo giudiziario non è stata fatta una legge per rendere più difficile la corruzione o più facile la scoperta della corruzione. Sotto il profilo culturale se qualcosa è cambiato, lo è stato in senso opposto: si è rafforzata l'idea che l'interesse privato nell'esercizio di una pubblica funzione non è riprovevole”.

È arrivata l’ ora che i politici tornino a fare politica e la smettano di spartirsi i centri del potere.
 A fine mese, quando ricevo lo stipendio, faccio l’ esame di coscienza e mi chiedo se me lo merito” (P. Borsellino). Chissà se i politici dei giorni nostri si sono mai posti questa domanda…
Un buon punto di partenza è individuabile nel taglio dei finanziamenti ai partiti e all’ editoria (“Report” ha svelato la prassi dei finanziamenti statali all’editoria. Il sistema è semplice: basta creare una cooperativa di giornalisti oppure basta far risultare di essere organo di una forza politica, e il gioco è fatto:
 Grazie alle modifiche apportate dalla Finanziaria 2006 alle leggi 416 del 5 agosto 1981 (che disciplina le imprese editrici di quotidiani e periodici e ha istituito il contributo statale per i giornali di partito per salvarli dal fallimento); alla 67 del 25 febbraio 1987 (a favore dei giornali organi di movimenti politici che vantino almeno due deputati eletti in parlamento); alla 250 del 1990 (che regola la spartizione del finanziamento pubblico da parte dello Stato alla stampa e l'editoria dei partiti) e alla legge 388 del 2000 a favore di "quotidiani, già organi di movimenti politici, editi da cooperative costituite entro il 30 novembre 2001", tutte le imprese radiotelevisive, editrici di libri, periodici e le testate giornalistiche registrate come organo di partito edite da cooperative o appoggiate da due parlamentari o da un eurodeputato, si spartiscono 667 milioni di euro. Questa la ripartizione: la prima, poco meno di 28 milioni di euro è riservata ai giornali ufficialmente registrati come organi di movimento politico; la seconda, 31,4 milioni, agli ex organi di movimenti politici editi da cooperative costituite entro il 30 novembre 2001; la terza di quasi 89,5 milioni di euro va ai quotidiani e periodici editi da cooperative di giornalisti o da società la cui maggioranza del capitale sociale è detenuta da cooperative nonché quotidiani italiani editi e diffusi all'estero e giornali in lingua di confine; il resto, circa 12 milioni di euro vanno ai giornali politici e delle minoranze linguistiche; alle testate edite da cooperative editoriali; alle testate per i non vedenti; alla stampa italiana pubblicata all’ estro, le pubblicazioni edite in Italia e diffuse prevalentemente all'estero e ai quotidiani teletrasmessi all'estero. A ciò si aggiungono: i contributi per il credito d'imposta per l'anno fiscale 2004 pari al 10% della spesa complessiva per l'acquisto della carta; contributi per l'anno 2004 per le compensazioni a Poste Italiane Spa per le tariffe speciali applicate alle spedizioni editoriali; i finanziamenti concessi alle imprese editoriali (ex legge 62/2001) per il credito agevolato e per il credito d'imposta in relazione agli investimenti fissi di ristrutturazione e ammodernamento della capacità produttiva (in corso di elaborazione); i fondi per la riqualificazione e la mobilità dei giornalisti; i contributi alle imprese radiofoniche "libere" e a quelle ufficialmente registrate come organi di movimento politici erogati ai sensi dell'art. 4 della legge n. 250/1990; i rimborsi alle imprese radiofoniche a carattere locale per le spese per abbonamento alle agenzie di informazione ai sensi dell'art. 7 della legge n. 250/1990; i rimborsi delle spese per abbonamento ai servizi delle agenzie di informazione erogati ai sensi dell'art. 8 della legge n. 250/1990 e i rimborsi alle televisioni locali delle spese per l'abbonamento ai servizi forniti dalle agenzie di informazione erogati ai sensi dell'articolo 7 della legge n.422 del 1993. Insomma, ce n'è per tutti, ivi compresi i quotidiani di più larga diffusione nazionale a cominciare da "La Repubblica", "Corriere della Sera", "Il Sole-24 ore" "La Stampa" e "Messaggero" a cui lo Stato rimborsa una parte dei costi per l'acquisto della carta, le spese per le spedizioni e gli abbonamenti alle agenzie di stampa, fino alle testate dei maggiori partiti politici. E tutti, dai radicali (che per i servizi di "Radio radicale" intascano oltre 4.132 mila euro all'anno) alla Fiamma tricolore, da "Liberazione" all'organo del PdCI "La Rinascita", da "La Padania" fino agli ultraliberisti de "Il Foglio" di Giuliano Ferrara e "Libero" di Vittorio Feltri che quotidianamente si scagliano contro lo "Stato assistenzialista" ed esaltano la "libera impresa", hanno loro bella fetta di finanziamento pubblico. Basti pensare che "Il Foglio", ad esempio, per ottenere i suoi 3,5 milioni di euro all'anno di contributi pubblici è stato il primo a usare il "trucco" dei due parlamentari diventando il giornale della misconosciuta Convenzione per la giustizia (due parlamentari, il minimo chiesto dalla legge), mentre "Libero" addirittura è diventato l'organo del Movimento monarchico nazionale e grazie a ciò incassa oltre 5,3 milioni di euro all'anno. Con questo "trucco", come lo ha definito Giuliano Ferrara, anche "Il Borghese", i cui Feltri è stato direttore, e "Il Riformista" finanziato dall'ex braccio destro di D'Alema, Claudio Velardi, e diretto dal rinnegato del PCI Paolo Franchi, che si è agganciato alla rivista di Macaluso "Le ragioni del socialismo", hanno "diritto" al loro bel contributo che ammonta rispettivamente a 2,5 e 2,179 milioni di euro a testa all'anno. La cosa scandalosa riguarda i criteri in base ai quali questa megatorta viene spartita. La legge prevede infatti che il contributo statale venga erogato in proporzione ai costi e alla tiratura del giornale. Dunque più copie stampi più aumenta il contributo. C'è un solo limite: bisogna che la testata venda almeno il 25% della tiratura. Ma questo non è un problema perché molte testate vendono sottocosto, regalano o addirittura scaricano alle fermate degli autobus e delle metropolitane decine di migliaia di copie che fanno figurare come vendute).  

Bisognerebbe regolamentare gli stipendi dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni e dei politici, in modo tale che per i primi siano proporzionati alla qualità dei risultati conseguiti, per i secondi, invece, siano proporzionati, quantomeno, alla quantità di ore lavorative effettivamente sostenute. Si potrebbe continuare con la riduzione delle spese di rappresentanza dei politici, con il dimezzamento dei parlamentari, con la limitazione, alla sola persona del parlamentare, dei benefici derivanti dalla sua carica (sanità gratuita, auto blu, ecc.), con l’ abolimento dei vitalizi e con l’ approvazione di una legge che vieti, agli stessi parlamentari, di andare in pensione dopo appena una legislatura ma che li obblighi, invece, a rispettare le scadenze imposte, per legge, a tutti gli italiani. Sarebbe corretto, nei confronti dei cittadini, introdurre una legge che impedisca ai politici di ricoprire più cariche, di continuare ad esercitare la propria attività, durante la durata della legislatura, e conseguentemente consenta l’ attribuzione di un unico stipendio. Un buon esempio da parte del mondo politico potrebbe derivare da una massiccia riduzione delle cosiddette auto blu: è pur vero che l’ attuale Governo ha approvato una legge in tal senso ma, è altrettanto vero che, a distanza di qualche giorno, il Parlamento ha autorizzato lo stanziamento dei fondi per l’ acquisto di ulteriori 400 nuove vetture da mettere a disposizione degli enti che ne facciano richiesta. E no, cari signori, basta con gli sprechi, basta prendersi gioco del Popolo Italiano! Ulteriori tagli potrebbero essere estesi alle spese di palazzo, tagliando sul numero e sui costi del personale. Si potrebbe, poi, mirare alla riduzione degli sprechi negli enti locali.
A questo punto, non resta che puntare il dito sugli sprechi di denaro pubblico. Le opere pubbliche abbandonate, in Italia, sono una storia vecchia. Da un recente censimento, effettuato da una associazione di volontari, se ne contano ben 316 sparse su tutto il territorio nazionale. Il caso più emblematico è sicuramente quello del ponte sullo stretto. Sono stati espropriati i terreni, costituite società, ingaggiati i dipendenti e infine, come nella più classica tradizione italiana, non se ne è fatto più nulla. I finanziamenti statali, pari a 1360 milioni di euro circa, sono stati destinati ad altre opere pubbliche. Ben venga, ma si trovi allora una soluzione ai danni già causati dal progetto ponte. Si dismettano le società, le cooperative, si licenzino le persone, inutilmente assunte che, ancora adesso, i contribuenti pagano di tasca propria, e soprattutto la si smetta, una volta per tutte, di sprecare il denaro dei cittadini! Al fine di fare l’interesse dei cittadini, il denaro risparmiato, in seguito alla cessazione degli sprechi, dovrebbe essere interamente reinvestito, nel miglioramento delle infrastrutture esistenti e nella realizzazione di quelle mancanti, in maniera tale da ridurre notevolmente i costi della mobilità per i cittadini e quelli relativi al trasporto delle merci. In ultimo ma non certo per importanza, sarebbe necessario combattere la corruzione che affligge le istituzioni democratiche e l’ intero apparato delle pubbliche amministrazioni. “L'equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E no! Questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest'uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c'è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati” (P. Borsellino).
La lotta alla corruzione e alle infiltrazioni mafiose, nella politica e nelle pubbliche amministrazioni, deve, però, andare di pari passo con la lotta alla criminalità organizzata. “L’ impegno dello Stato nella lotta alla criminalità organizzata è emotivo, episodico, fluttuante. Motivato solo dall’ impressione suscitata da un determinato crimine e dall’ effetto che una particolare iniziativa governativa può suscitare sull’ opinione pubblica. La mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà una fine. Piuttosto, bisogna rendersi conto che si può vincere, non pretendendo l’ eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni. Se le istituzioni continueranno nella loro politica di miopia nei confronti della mafia, temo che la loro assoluta mancanza di prestigio, nelle terre in cui prospera la criminalità organizzata, non farà che favorire, sempre di più, la mafia” (G. Falcone).
La lotta alla mafia deve essere innanzi tutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’ indifferenza, della contiguità e quindi della complicità” (P. Borsellino).
La lotta alla criminalità organizzata deve, inoltre, diventare uno dei temi centrali del programma governativo  dell’ esecutivo di un Paese che pretende di essere definito democratico. Strumento di questa lotta devono essere le Forze dell’ Ordine e la Magistratura, entrambe private, negli ultimi anni, di gran parte del proprio potere da una politica sempre più corrotta e meno efficiente. Le prime , indebolite dal taglio dei fondi, ad esse destinati, che ha impedito loro di svolgere in maniera efficace il proprio compito; la seconda, invece, indebolita attraverso la modifica dei codici legislativi , strumento essenziale per il lavoro dei magistrati. “Temo che la Magistratura torni alla vecchia routine: i mafiosi che fanno il loro mestiere da un lato, i magistrati che fanno, più o meno bene, il loro dall’ altro e alla resa dei conti, palpabile, l’inefficienza dello Stato”. (G. Falcone) Queste erano le paure di un grande uomo che, a pochi anni dalla sua morte, si sono dimostrate fondate. “Ci sono leggi che sono contro le regole dello stato di diritto: bisogna riportare le cose alla normalità” (G. Stracquadanio).
In Italia il meccanismo democratico si è inceppato sessant’ anni fa e negli ultimi vent’ anni è addirittura peggiorato. Per questo motivo ritengo indispensabile la contemporanea attuazione di due riforme atte a rendere giusta la Giustizia: la riforma dei codici legislativi e quella della Magistratura. Una “Giustizia giusta” è innanzitutto veloce. Per raggiungere questo obiettivo si dovrebbe procedere allo snellimento dei codici, in modo da avere meno leggi, che siano però più efficienti, e molti meno cavilli, che rappresentano uno dei più grandi handicap della nostra legislazione. Si dovrebbero, infine, inasprire gran parte delle pene e, soprattutto, si dovrebbe garantirne la certezza. “Non è l'intensione della pena che fa il maggior effetto sull'animo umano, ma l'estensione di essa; perché la nostra sensibilità è più facilmente e stabilmente mossa da minime ma replicate impressioni che dà un forte ma passeggero movimento” (C. Beccaria ). Per quanto riguarda la Magistratura, bisognerebbe implementarne l’ organico, sancirne la reale autonomia dalla politica, impedendo, contemporaneamente, agli stessi magistrati di influenzare negativamente il rapporto tra politici e cittadini. Ritengo, inoltre, giusta l’ introduzione del principio di responsabilità civile dei magistrati, dato che così, attraverso un referendum, si è espresso il Popolo e soprattutto per cancellare definitivamente, dall’ immaginario collettivo, l’ impunibilità dei magistrati, proprio come ritengo corretta, nei confronti dei cittadini, l’ abolizione dell’ articolo 68 della Costituzione. 
Un altro punto fondamentale per ristabilire la legalità, in un Paese che già da molti anni sembra aver dimenticato l’ esistenza dei regolamenti e per risanare i conti dello Stato, dando un po’ di respiro agli onesti contribuenti, ultimamente vessati da una tassazione non proprio equa, è senza ombra di dubbio la lotta all’ evasione e all’ elusione, fiscale. La prima azione, da parte delle istituzioni, dovrebbe essere indirizzata verso lo sviluppo di politiche di collaborazione tra l’ Agenzia delle Entrate, la Guardia di Finanza, il P.R.A. e gli uffici del Catasto attraverso i cosiddetti controlli incrociati. Le stesse istituzioni dovrebbero, inoltre, favorire la cooperazione tra le autorità italiane e i Governi dei “paradisi fiscali”, partendo proprio dalla vicina Svizzera, allo scopo di rintracciare e, infine, tassare gli svariati miliardi di euro, ancora, illegalmente evasi. Le imprese multinazionali hanno messo a punto dei sistemi sempre più sofisticati per eludere ed evadere le tasse dovute. Le stime parlano di centinaia di miliardi di dollari persi ogni anno a causa di meccanismi quali l’abuso del transfer pricing. Gonfiando o diminuendo ad arte i prezzi, è infatti possibile per un’impresa multinazionale “aggiustare” i propri bilanci in modo da fare risultare in perdita le filiali situate nei Paesi a elevata tassazione, mentre i profitti saranno concentrati nei territori a bassa tassazione e nei paradisi fiscali. Negli ultimi anni si sono registrati casi di succhi di frutta venduti a oltre 1.000 dollari al litro, o di spazzolini da denti valutati 5mila dollari al pezzo. Questa tecnica che consiste nell’aumentare,o diminuire, in maniera fraudolenta il prezzo di trasferimento funziona particolarmente bene per quanto riguarda loghi, marchi e altri prodotti intangibili. È sufficiente registrare il proprio marchio in un paradiso fiscale. Tutti i beni prodotti dalla data impresa dovranno allora pagare i diritti,il copyright, alla filiale che detiene questo marchio, garantendo un flusso di denaro e di profitti dai Paesi in cui viene realizzata la produzione verso i paradisi fiscali. Questo accade perché, tranne alcune eccezioni, le compagnie devono riportare al pubblico i propri dati economici e finanziari unicamente in forma aggregata, e non suddivisi per i singoli Paesi in cui operano. In questo modo non è possibile sapere se un’impresa paga le tasse dovute in ogni Paese in cui opera o se fa uso di paradisi fiscali per eludere il fisco. Negli ultimi anni il Tax Justice Network, la rete di organizzazioni della società civile che lotta contro i paradisi fiscali, ha promosso una campagna internazionale che chiede una rendicontazione Paese per Paese dei dati economici e finanziari delle imprese multinazionali. Si tratta di una richiesta elementare, senza praticamente nessun costo aggiuntivo per le stesse imprese. Perché allora non rendere obbligatorio questo iter anche in Italia?
Contemporaneamente bisognerebbe inasprire le pene per i reati di evasione ed elusione fiscale e reintrodurre il reato di falso in bilancio. Al fine di impedire i soliti favoritismi all’ italiana sarebbe corretto, nei confronti degli onesti cittadini-contribuenti, sancire la fine degli infiniti favoritismi con l’ eliminazione degli sgravi fiscali relativi ai finanziamenti privati e ai partiti politici. Si potrebbe inoltre infliggere un duro colpo ai “furbetti” e contemporaneamente alleggerire il compito della Guardia di Finanza, rispetto ai controlli “porta a porta”, rendendo possibile la detrazione di una parte dell’ I.V.A. dalle tasse, in modo che la richiesta di scontrini e ricevute fiscali, in caso di mancata emissione, diventi un’ abitudine. Al contempo bisognerebbe rivedere la politica di riscossione dei tributi affidata alle due maggiori agenzie tributarie: Equitalia e Serit con la loro politica di riscossione portano al fallimento le aziende e al default le famiglie, recando allo Stato un danno maggiore rispetto al mancato recupero dei crediti. Alla luce del diffuso malcontento dei cittadini, continuamente colpiti dai comportamenti illegittimi di Equitalia e Serit, si ritiene opportuno optare per l’eliminazione dell’attribuzione a Equitalia s.p.a. dell’attività di riscossione riconosciutale dall’art. 3 del decreto legge n. 203 del 30 settembre 2005, convertito con modificazioni nella legge n. 248 del 2 dicembre 2005 e per la conseguente attribuzione della fase di formazione del ruolo ai singoli enti impositori e di quella della materiale riscossione all’Agenzia delle entrate con divieto di affidamento della stessa ad altri soggetti di qualsiasi natura. È infatti giusto e doveroso combattere l'evasione e l'elusione fiscali, come è altresì fondamentale rendere efficaci le attività di riscossione, ma risulta altrettanto indispensabile realizzare un sistema nazionale di riscossione che non vessi e danneggi indebitamente e irragionevolmente il cittadino-contribuente-debitore che, soprattutto in questo complesso momento di crisi economica mondiale, deve potersi tutelare e difendere con pari diritti rispetto al responsabile della riscossione. Infine, con il pretesto della lotta all’ evasione/eluzione fiscale, si potrebbe infliggere un durissimo colpo all’ economia della criminalità organizzata. Basterebbe legalizzare due tra le più cospicue fonti di reddito della malavita: la droga e la prostituzione.
Sono, entrambi, degli argomenti che dividono il pensiero del Paese, ma, con la legalizzazione delle droghe leggere si otterrebbero notevoli vantaggi: come già detto in precedenza, si toglierebbe alla criminalità organizzata una buona fetta di profitto a tutto vantaggio delle casse statali; si creerebbero molti posti di lavoro e in ultimo si risparmierebbe sulla repressione dei crimini inerenti al consumo di droghe leggere, e al possesso di modiche quantità delle stesse, che oggi appare decisamente eccessiva, rispetto alla diffusione del fenomeno su tutto il territorio nazionale. Per quanto riguarda la prostituzione, la regolamentazione del “sistema”, sottoponendolo a regime fiscale e controllo medico, magari organizzandolo in cooperative di lavoratori e lavoratrici, porterebbe da un lato la tassazione del ”settore” e all’ ulteriore riduzione degli introiti per la criminalità organizzata, dall’ altro aiuterebbe a “ripulire” le strade e a dare una parvenza di legalità ad una società, ormai da troppo tempo, in crisi di valori.

La tassazione attuale che grava sul lavoro scoraggia le assunzioni e gli investimenti. Andrebbe fissato un percorso di abbattimento del cuneo fiscale, destinando a questo obiettivo tutte le somme recuperate dalla lotta all’evasione. Due dovrebbero essere gli obiettivi della riforma del mercato del lavoro: ridurre la precarietà del lavoro e rimuovere gli ostacoli alla crescita della produttività. In un Paese ad alta varianza come l’Italia si dovrebbe riformare il sistema della contrattazione e far sì che le imprese possano legare salario e produttività, salario e costo della vita (nel Sud è diverso che nel Nord). Serve un ribaltamento: massimo decentramento del livello della contrattazione e dimagrimento di quella nazionale. Questo potrebbe favorire un maggior stimolo alla produttività. Vi è stata un’eccessiva moltiplicazione delle forme contrattuali per i neo-assunti, molte di queste forme contrattuali sono inutili e nocive. Va fatta una drastica semplificazione e costruito un sentiero di tutele crescenti. E ’ giusto che ci sia un periodo di prova durante il quale sia molto semplice interrompere il contratto tra impresa e dipendente. Con il passare del tempo vanno introdotte forme di tutela. L’eccesso di precarietà riduce la produttività dei lavoratori, quindi una stabilizzazione progressiva ha effetti benefici. Va incoraggiato il lavoro a tempo indeterminato, con una tassazione più favorevole rispetto ai contratti a termine. Dopo 3 o 5 anni va introdotto un sistema di indennizzo in caso di licenziamento che sostituisca l’art. 18. Per completare il quadro serve un sistema universale che assicuri un reddito a tutti i lavoratori (anche ai neoassunti) che perdono il lavoro.  Va abolita la Cassa integrazione e le altre forme di integrazione del salario oggi esistenti e creato un unico sistema. Servono controlli severi e l’obbligo da parte del disoccupato di accettare qualunque lavoro, pena la perdita del sussidio. Va costruito un sistema di agenzie del lavoro che favoriscano l’incontro tra posti di lavoro e disoccupati.
Dall’ abolizione della scala mobile avvenuta il 21 luglio 1992 e dagli accordi di concertazione del 23 luglio 1993 ad oggi c’è stata una inesorabile progressiva svalutazione dei salari costretti quasi alla immobilità mentre tutto il resto è andato avanti secondo le leggi del mercato. Salari e pensioni basse hanno contribuito a non fare impennare di molto i prezzi data la minore possibilità di consumi di lavoratori e pensionati come dire che la povertà del popolo è servita a tenere in equilibrio il sistema. Catastrofica è la situazione dei redditi fissi. Il 17% dei pensionati di vecchiaia riceve un assegno inferiore a 500 euro mensili. Il 6% dei lavoratori riceve un “salario” inferiore a 500 euro al mese ed il 25% sotto i 1000 euro. Questa situazione angoscia sopratutto i pensionati che non solo non hanno mezzi di difesa, ma sono stati criminalizzati dal regime che li vuole vampiri delle risorse che spetterebbero ai giovani. La contrattazione in deroga abbassa i minimi salariali ed i contratti in regime di precariato addirittura li dimezzano. Insomma la situazione si sta facendo assai critica per la sopravvivenza. Il liberismo ha imposto regole che vanno ben oltre la legge bronzea dei salari di Ricardo. Non solo il salario non va oltre la sussistenza dei prestatori d’opera ma è spesso largamente inferiore. Si sopravvive con l’aiuto delle famiglie fino a quando questo sarà possibile. Tutti i milioni di giovani biagizzati sopravvivono con l’aiuto dei genitori e spesso anche dei nonni. Nessuno è in grado di reggersi da solo e non basta neppure l’aiuto dello stipendio della compagna, se precaria. In queste condizioni diventa indispensabile il ripristino della scala mobile, di un meccanismo di indicizzazione dei salari e delle pensioni. La scala mobile può essere congegnata per evitare taluni effetti negativi che le sono stati attribuiti. Non è vero che favorisce l’inflazione se scatta soltanto un paio di volte l’anno e sempre dopo la registrazione dell’andamento dei prezzi. Può addirittura essere uno strumento di contenimento di questi, perché le aziende e lo Stato aumentando prezzi e tariffe dovranno tenere conto delle ripercussioni. L’istituzione del Salario Minimo Garantito si rende indispensabile per tutta l’area del precariato e del lavoro immigrato, ma farà bene a tutti bloccare la tendenza allo scivolamento verso il basso dei salari. Sarà un fatto di civiltà e di rispetto della dignità. Eviterà l’imbarbarimento di una società che si spacca in due, da un lato i manager ed i politici che godono di retribuzioni scandalose e dall’altro i cittadini “normali” che la morale liberista vorrebbe fare sentire falliti. Non è un fallito un giovane che dopo essersi laureato magari con tanto entusiasmo è costretto a servire in un ufficio per quattrocento euro al mese ma solo una vittima di un sistema che deve essere cambiato subito prima che sia troppo tardi. Inoltre l’ imposizione di un tetto massimo alle pensioni (5000€) e il divieto di cumulo di più pensioni, metterebbe l’Inps in condizione di poter garantire una pensione dignitosa a tutti i cittadini piuttosto che, come accade ultimamente, costringere chi ha lavorato per una vita o gli anziani a vivere sotto la soglia della povertà.

Il quarto potere costituzionale deve essere concepito sulla finalità di restituire allo Stato la funzione monetaria ed al popolo la proprietà della moneta. Questa riforma è diventata ormai indispensabile per uscire dall’asservimento al “signoraggio bancario” e dare inizio ad un regime di democrazia integrale in cui i popoli non abbiano solo la sovranità politica, ma anche quella monetaria, per vivere tempi nuovi a dimensione umana, liberi dall’angoscia dell’insolvenza ineluttabile dei debiti non dovuti alla grande usura.

Negli ultimi anni, tutti i Governi in carica, in risposta alle richieste di sviluppo di un paese abbandonato a se stesso, si sono sempre difesi dietro alla mancanza di fondi e alle difficoltà nel reperirli. Bene, prendendo per buone queste scuse, messe in piedi dai politicanti che negli ultimi decenni hanno portato il paese alla rovina, dovremmo allora poter festeggiare in seguito all’ individuazione da parte di un comune cittadino, che ha a cuore il proprio futuro così come quello della propria Nazione, di svariate “fonti” cui attingere i fondi per lo sviluppo e per un’ auspicata diminuzione del peso fiscale.
Tanto per non dimenticarci del concetto di Giustizia Sociale preferiremmo (noi, contribuenti onesti) che si iniziasse con il “colpire” i beneficiari dello”scudo fiscale”; la tassazione del 5% applicata ai capitali rientrati appare come uno schiaffo morale a quei cittadini che hanno sempre rispettato le leggi, sarebbe, pertanto, opportuno elevare l’ aliquota al 23%.
L’ Italia, a mio avviso, deve essere nel mondo portatrice di pace. Si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame. Il nostro Popolo si è sempre sentito fratello di tutti i Popoli della Terra. Questa è la strada. La strada della pace che Noi dobbiamo seguire”. (S. Pertini) Non ha senso, almeno per noi Italiani, pretendere di portare la Democrazia laddove non c’ è, non ha senso perché non riusciamo neppure a gestire democraticamente il Nostro Paese. Cosa pretendiamo di poter insegnare a questi Popoli? Vogliamo forse spiegar loro come legittimare gli Stati esteri a dettar legge in casa loro? Se lo scopo delle missioni militari è questo, allora sull’ argomento siamo ferratissimi, basta dare uno sguardo ai recenti casi riguardanti il tentativo, tra l’ altro quasi del tutto riuscito, di dettare le linee guida al Governo del Nostro Pese da parte di FMI, BCE, UE, Germania, Francia, Vaticano, ecc…  A tal proposito vorrei ricordare ai rappresentanti dello Stato che “il rispetto delle alleanze non significa che l’ Italia debba tenere il capo chino” (E. Berlinguer). Appena qualche giorno fa, un deputato, stranamente, intervenuto ad una trasmissione televisiva, ha affermato che in realtà i famosi F-35 non ci servono a nulla; spiegava, in pratica, che l’ acquisto di questi ultra-costosi, ultra-inutili e mal funzionanti jet serve solo a tenerci stretti gli USA, così da assicurarci il loro appoggio militare in caso di guerra. Ma chi ha detto che il Popolo Italiano abbia, anche lontanamente, voglia di pensare alla possibilità di una guerra? Ritengo che sarebbe opportuno restituire al mittente gli aerei-giocattolo e che sarebbe giusto, in nome dei sacrifici che vengono chiesti ai contribuenti, tagliare i miliardari finanziamenti destinati alle spese militari di un Paese, come il Nostro, che è, quasi, sempre rimasto estraneo alle guerre.
Facciamo in modo che l’ attenzione delle istituzioni si concentri invece sulla valorizzazione del territorio al fine di migliorare l’ offerta turistica, salvare dalla crisi il settore primario e soprattutto salvare dagli scempi il BelPaese. “La Nazione che distrugge il suo suolo, distrugge se stessa” (F. D. Roosevelt). L’ aumento delle royalties sugli idrocarburi (nel 2010 le multinazionali che sfruttano il sottosuolo italiano hanno versato allo Stato imposte per 202 milioni di euro a fronte di una produzione di 4,5 miliardi di euro) permetterebbe la realizzazione di progetti volti alla produzione di energia pulita, attraverso l’ uso di impianti fotovoltaici. Per troppo tempo il territorio italiano è stato sfruttato, per troppo tempo le istituzioni  hanno permesso cose ignobili. Si investa al fine di tutelare il territorio, si finanzi il riassesto idrogeologico dell’ intero Paese. Si smetta di costruire dove è economicamente più conveniente; si lavori, invece, per il recupero di spazi già ampiamente sfruttati. Si combattano le ecomafie e la corruzione che regna sovrana nel settore della gestione dei rifiuti. Si imponga la raccolta differenziata al fine di favorire il processo di riciclo. Si implementino i finanziamenti per la salvaguardia del patrimonio artistico, si affidi la  gestione, dei monumenti, dei musei e dei parchi ai privati, mantenendo il ruolo di controllo da parte delle soprintendenze ai beni culturali. Si aiuti il settore primario, a rialzare la testa, concedendo credito alle aziende, riducendo la concorrenza sleale dei paesi esteri, aumentando i controlli sulla qualità e sulla reale provenienza dei beni importati, si facciano rispettare le normative vigenti, si impedisca alla UE di varare leggi che autorizzino le multinazionali a immettere nei nostri mercati prodotti di scarsa qualità (vedi i succhi senza frutta e il vino senza uva), si impedisca all’ UE di obbligare i produttori a distruggere gli eccessi, secondo le normative europee, di produzione e si applichi invece una politica che favorisca, almeno entro i nostri confini il consumo di prodotti italiani. 

Non c'è un solo ateneo italiano tra i top 100 mondiali. Mancano quindi le “fabbriche di eccellenza”. Le risorse che sono oggi disperse devono essere invece concentrate sulle università migliori, nelle quali si possa misurare obbiettivamente la qualità della ricerca e della didattica, cambiando radicalmente la governance per assicurarsi che il denaro pubblico sia ben speso. L'Italia è l'unico paese al mondo dove i rettori sono nominati dai docenti che essi devono selezionare. Una riforma universitaria potrebbe, quindi, sortire il conseguimento di importanti risultati: riduzione degli sprechi, miglioramento dell’ offerta formativa e rilancio della ricerca. Una buona riforma del sistema universitario dovrebbe essere “giusta”. Dovrebbe, per prima cosa, affermare la meritocrazia come principio portante dell’ intero sistema. Come prima conseguenza si dovrebbero eliminare dall’ intero sistema, le “baronie”. Il passo successivo sarebbe quello di apportare un drastico taglio agli sprechi, procedendo quindi all’ eliminazione di una moltitudine di corsi di studio troppo simili e talvolta troppo inutili. Una volta selezionati i corsi da portare avanti, bisognerebbe verificarne l’ effettivo funzionamento e la validità in modo tale da poter apportare le eventuali modifiche. Bisognerebbe, poi, dare delle, improrogabili, scadenze agli studenti in modo da evitare gli sprechi di denaro e il sovraffollamento degli atenei pubblici. Un ulteriore punto del taglio alla spesa è rappresentato dal taglio dei finanziamenti alle università private. Sarebbe, infine, opportuno reinvestire il flusso di denaro risparmiato nella ricerca e nel rispetto dell’ art. 45 cost. al fine di non lasciar morire due di quei settori che hanno reso famoso il nome dell’ Italia nel mondo. 

È inconcepibile che le strutture sanitarie, pubbliche, siano state trasformate in vere e proprie aziende (ASP). Poiché la salute non è un bene ma, bensì, un diritto, ritengo sia necessario tornare alla definizione “ospedali” e soprattutto alla gestione di strutture sanitarie e non di aziende che “vendono” la salute. Il mio suggerimento è quello di una riforma al fine di tagliare i miliardari sprechi e soprattutto tagliare i finanziamenti alle strutture private. Bisognerebbe poi aumentare l’ organico, stabilire un metodo di attribuzione degli incarichi basato sui meriti personali, aumentare i posti letto e dedicarsi al recupero delle strutture sanitarie già esistenti.   

Un altro punto chiave per la diminuzione delle imposte che gravano sui cittadini è rappresentato dalla Chiesa Cattolica; di seguito vengono elencate le motivazioni a sostegno di questa tesi:
Ogni cittadino che presenta la dichiarazione dei redditi può scegliere la destinazione dell’8 per mille del gettito Irpef tra sette opzioni: Stato, Chiesa cattolica, Unione Chiese cristiane avventiste del 7° giorno, Assemblee di Dio in Italia, Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi, Chiesa Evangelica Luterana in Italia, Unione Comunità Ebraiche Italiane.
Come ben sappiamo, nessuno in realtà destina il proprio gettito: il meccanismo assomiglia di più ad un gigantesco sondaggio d’opinione, al termine del quale si “contano” le scelte, si calcolano le percentuali ottenute da ogni soggetto e, in base a queste percentuali, vengono poi ripartiti i fondi. Come se non bastasse, la mancata formulazione di un’opzione non viene presa in considerazione: l’intero gettito viene ripartito in base alle sole scelte espresse. Alcune confessioni, più coerentemente, lasciano allo Stato le quote non attribuite, limitandosi a prelevare solo quelli relativi ad opzioni esplicite a loro favore, cosa che NON fa la Chiesa cattolica, ottenendo un finanziamento quasi triplo rispetto ai consensi espliciti ottenuti a suo favore.
Il Ministero delle Finanze, già restìo a fornire statistiche in merito (comunica i dati alle sole confessioni religiose, che ne danno notizia con estrema riluttanza), è peraltro estremamente lento nel diffondere i dati. Le ultime comunicazioni ufficiali e definitive si riferiscono incredibilmente alle dichiarazioni dei redditi del 2004 (redditi 2003).
Questa la distribuzione:
89,81 %  Chiesa Cattolica, 7,74 %  Stato , 1,43 % Valdesi, 0,37 % Comunità Ebraiche, 0,20 % Luterani, 0,19 %  Assemblee di Dio in Italia.
Si noti che, in tale occasione, su oltre trenta milioni di contribuenti solamente il 39,52% ha espresso un’opzione: solo il 35,24% della popolazione, quindi, ha espresso una scelta a favore della Chiesa cattolica. Per dare un’idea dell’enormità della cifra corrisposta grazie a questo meccanismo, la Conferenza Episcopale ha disposto nel 2007 di contributi per 991 milioni di Euro.
Quando nel 1996 il ministro Livia Turco propose di destinare i fondi di competenza statale all’infanzia svantaggiata, il “cassiere” della Conferenza Episcopale Italiana Nicora reagì duramente, sostenendo che «lo Stato non deve fare concorrenza scorretta nei confronti della Chiesa»; Questo comportamento, da parte dei rappresentanti del Vaticano, infrange l’ art. 7 della Costituzione.
 Lo Stato è l’unico competitore per l’otto per mille che rifiuta di farsi pubblicità.
L'Otto per Mille non è la più importante voce in "uscita" dallo Stato in direzione della Chiesa cattolica: l'insegnamento della religione cattolica costa infatti ben un miliardo e mezzo, destinato a finanziare il catechismo impartito da docenti scelti dai vescovi ma pagati dallo stato.  L'UAAR stima in oltre sei miliardi la cifra di cui gode la Chiesa cattolica, nelle sue varie articolazioni, a danno delle casse pubbliche.
Nell’ambito del Decreto Fiscale collegato alla Legge Finanziaria 2006, il Parlamento ha introdotto l’esenzione ICI (Imposta Comunale sugli Immobili) per gli immobili adibiti a scopi commerciali per la Chiesa (ulteriormente estesa alle associazioni no-profit). Il patrimonio immobiliare della Chiesa cattolica è incalcolabile (si parla di un 20-25% dell'intero territorio nazionale), e incalcolabile è quanto di tale patrimonio sia effettivamente utilizzato per fini spirituali, quanto per fini commerciali e quanto per fini commerciali “occultati” dietro i fini spirituali. Il d.l. 223 del 4 luglio 2006 ha successivamente eliminato tale esenzione. La sua formulazione («Attività di natura esclusivamente commerciale»), tuttavia, di fatto vanifica il provvedimento e mantiene in vigore tale privilegio: è infatti sufficiente che all’interno dell’immobile destinato ad attività commerciale si mantenga una piccola struttura destinata ad attività religiose.
Nell'agosto 2007 la Commissione Europea ha chiesto al governo italiano informazioni supplementari su tali vantaggi fiscali. Non risulta che né il governo Prodi, né il governo Berlusconi che subentrò nel 2008 le abbiano mai risposto.
Di seguito verranno elencati i più eclatanti motivi per cui questi favoritismi nei confronti di quello che è, a tutti gli effetti, uno stato estero dovrebbero essere cessati immediatamente:
-Perché lo Stato, erogando questi finanziamenti, è costretto a cercarsi altre entrate con nuove     forme  di tassazione gravanti sulla popolazione.
-Perché il meccanismo (8 x 1000) doveva essere basato sulla volontarietà, ma la ripartizione delle scelte inespresse vìola, di fatto, questo principio.
-Perché secondo stime dell’ANCI, il provvedimento (mancato versamento delle imposte comunali sugli immobili) avrebbe comportato minori entrate per i Comuni nell’ordine di 700 milioni di Euro, a danno dei servizi sociali,delle stesse casse dei comuni e di conseguenza dei cittadini Italiani.
-Perché nel caso della Chiesa cattolica, gran parte di questi contributi non ha alcuna utilità sociale.

Inoltre da un governo tecnico di “non eletti” ci si aspetta un certo grado di libertà, di indipendenza di pensiero e di distacco dai partiti politici: è per questo motivo che il suo Governo potrebbe riconsegnare al Paese un’ istituzione (la Rai, non politica, ma oggi occupata dai partiti) liberandola dai giochi di potere e restituendo agli italiani un’ emittente che fornisca realmente un servizio pubblico. 

Esiste un senso della giustizia, definito talvolta naturale in quanto ritenuto innato, che impegna ogni singolo individuo a tenere nei confronti dei propri simili o gruppi, in situazioni ordinarie o straordinarie, criteri di giudizio e conseguenti comportamenti, rispondenti a giustizia nel senso di onestà, correttezza e non levità del prossimo. È in questo senso che la giustizia diventa una virtù morale, quindi privata e non codificata e istituzionalizzata, che è però di enorme portata assiologica, in base alla quale si osservano regole comportamentali che riguardano sé e gli altri nei doveri e nelle aspettative. La giustizia è la costante e perpetua volontà, tradotta in azione, di riconoscere a ciascuno ciò che gli è dovuto; questo è l'ufficio, deontologico e inviolabile, che il magistrato preposto deve porre in atto nei luoghi deputati a rendere giustizia: i tribunali. La giustizia, che è messa in atto sempre come volontà del popolo, è anche azione repressiva, potere legittimo di tutelare i diritti di tutti, quindi rendere a ognuno giustizia, nelle circostanze riconosciute, ascoltando richieste per essa e in nome di essa accordando ciò che è giusto quando è dovuto e a chi è dovuto. La negazione della giustizia, ovvero la mancata applicazione dei criteri, è l'ingiustizia, con diversi gradi di gravità della sua realizzazione a danno di una o più persone…
È proprio questo senso di mancata giustizia perpetrata dai governi degli ultimi trent’ anni  che mi ha spinto a mettere per iscritto i miei pensieri, i miei consigli, le mie speranze.
Le speranze di un giovane che ha ancora fiducia nel futuro.





                                                                                                                                     Gaetano Trapani